Una lezione di Resilienza dal nuovo coronavirus
- Giuseppe Muscatello
- 14 apr 2020
- Tempo di lettura: 4 min
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La resilienza comincia il 9 marzo scorso, quando il Presidente del Consiglio annuncia che l’Italia intera è “zona protetta” a causa dell’epidemia Covid-19, in seguito dichiarata “pandemia” dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. L‘emergenza sanitaria in corso ci unisce ma solo idealmente poiché allatto pratico dobbiamo mantenere la distanza di sicurezza tra noi. Inoltre i recenti interventi legislativi ci impongono di uscire di casa solamente per motivi di comprovata necessità. Solo nel rispetto di queste norme, e poche altre indicazioni comportamentali, è possibile ridurre efficacemente la diffusione del virus responsabile dell’infezione, il SARS-CoV- 2. Ciò per il bene del singolo e della collettività.
Il punto è proprio questo: per attraversare e uscire da questa situazione non bastano i decreti e gli sforzi profusi degli operatori sanitari in prima linea nella lotta contro il nuovo virus, serve anche il senso di responsabilità verso sé stessi e gli altri. Onestamente non mi sento in una botte di ferro.
A queste mie personali rilevazioni si aggiungono le notizie divulgate dai mezzi di informazione nazionali che ci raccontano di persone in fuga dalla quarantena o di esodi verso il Sud dalle zone con alta concentrazione di contagi. Alla luce di ciò non mi stupisce, e quasi mi rincuora, il recente divieto di accesso, in quei luoghi dove fino a pochi giorni fa era ancora possibile circolare per svolgere attività all’aperto. Il messaggio sembra chiaro: la superficialità non è ammessa per cui è bene scongiurare ogni occasione di assembramento.
Tutti siamo invitati a evitare comportamenti mossi dalle emozioni quali paura, ansia e panico. Certo, la nostra natura umana quasi ci legittima a sbagliare, ma è anche vero che siamo provvisti di un bagaglio interiore ricco di risorse utili in questa emergenza, basta volervi attingere. Tra queste risorse mi preme citare la capacità di saper chiedere aiuto durante una crisi come quella che stiamo vivendo.
Da quando le autorità sanitarie hanno dichiarato lo stato di emergenza, il quadro della situazione è mutato fortemente. Ora siamo in piena pandemia. Cosa si è registrato nel comportamento individuale e collettivo in merito alla gestione di questa emergenza?In questi giorni si sono susseguiti annunci che facevano capire gradualmente la serietà della situazione. Questi annunci hanno generato reazioni a volte incomprensibili e contraddittorie. Siamo passati da un comportamento di negazione del problema, come le serate in festa, a comportamenti che dimostrano l’ipersensibilità emotiva di questi ultimissimi giorni, espressione di un’ansia che si trasforma via via in angoscia e panico e che conduce le persone a realizzare, per esempio, gli assalti ai supermercati senza che ve ne sia reale necessità.
Queste emozioni sono quelle che si esprimono solitamente nei momenti di emergenza e che troviamo all’origine di comportamenti che abbiamo visto anche nei singoli individui che passano quasi in opposizione alle misure da prendere, con annunci tipo: “Il virus non mi ferma” all’aderire totalmente, o meglio compulsivamente e ossessivamente, alle disposizioni.
La pandemia mette in discussione il nostro modo di prenderci cura di noi stessi e degli altri. Quali strategie o riflessioni si consiglia di adottare per attraversare indenni questa crisi? Dai fatti di cronaca sembriamo un popolo poco incline alla disciplina…E’ vero noi siamo un popolo poco incline alla disciplina, un esempio di qesto è il fatto che forse solo in Italia esistono cartelli con su scritto “é severamente vietato” come se solo il divieto non bastasse. Questo momento di grande vulnerabilità individuale e collettiva spinge le persone a dover riflettere di più su quanto il nostro comportamento può impattare sulla nostra salute e quella dei nostri cari. Seppur alcuni continuano in modo estenuante ad aggrapparsi alla falsa credenza onnipotente del “tanto a me non può succedere”, oggi dobbiamo prendere atto che questo virus ci pone innanzi a una realtà molto volubile e poco controllabile. Ci ricorda che prendersi cura di sé vuol dire anche prendersi cura dell’altro, ci impone paradossalmente di prendere le distanze per proteggersi reciprocamente. Questa pandemia ci ha dimostrato inoltre come la tendenza a vedere nel diverso/distante da noi un pericolo sia inutile se non sappiamo in primis prenderci cura di noi stessi e adottare comportamenti responsabili.
Oggi vedo che stiamo tutti adattandoci alla situazione, gli adattamenti sono sempre graduali ma questo sta avvenendo. Se proseguiremo in modo responsabile e lucido questo processo di adattamento alla situazione avremo sicuramente in mano lo strumento che ci consentirà di uscire da questo problema, proprio Darwin ci ricorda che “la specie che sopravvive è quella che è in grado di adattarsi e di adeguarsi meglio ai cambiamenti dell’ambiente in cui si trova”.
In fondo non dobbiamo far altro che ripetere ciò che già è avvenuto in Cina. Questo ci consentirà non solo di uscire da questo momento così difficile, ma anche di sentirci parte attiva di un cambiamento che porterà alla soluzione. In questo processo di adattamento svilupperemo come persone una grande resilienza che ci aiuterà a fronteggiare altre difficoltà che la vita potrà offrirci.
In questo momento credo sia importante pensare responsabilmente a tutte quelle persone che vivono delle fragilità di salute o che vedono la propria attività fermarsi, le persone che vivono la quarantena, tutto il personale sanitario, il volontariato, le forze dell’ordine e coloro che hanno perso dei cari proprio a seguito della Covid-19.
In questa fase e che sia legata proprio alla resilienza penso sia opportuno un supporto psicologico online rivolto a tutte le persone che in questo momento hanno bisogno di aiuto per ritrovare la calma, la speranza e calmare l’ansia.
Per concludere, la parola chiave è resilienza. La pandemia in atto è un invito ad allenare, o a scoprire, questa innata capacità della natura umana di saper trarre forza dai momenti di crisi per costruire nuovi e virtuosi percorsi individuali, e perché no, di intere nazioni.